Augustus by John E. Williams

Augustus by John E. Williams

autore:John E. Williams
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
Tags: Romanzo Storico
ISBN: 9788868264307
editore: Castelvecchi
pubblicato: 2014-05-14T22:00:00+00:00


Il diario di Giulia, Pandataria (4 d.C.)

Le circostanze della mia nascita furono note al mondo intero molto prima di essere note a me. E quando io fui abbastanza cresciuta per capirle, mio padre era il governatore del mondo, e un dio. Il mondo ha capito da un pezzo che il comportamento di un dio, per quanto bizzarro possa sembrare ai mortali, è naturale ai suoi occhi e finisce col sembrare inevitabile a chi deve adorarlo.

Di conseguenza, non mi sembrò affatto strano che Livia dovesse essere mia madre e Scribonia si limitasse ad essere una rara visitatrice in casa mia, una parente lontana ma inevitabile, che tutti sopportavano per un oscuro senso d’obbligo. I miei ricordi di quel periodo sono pallidi e incerti. Ma ora mi sembra che quegli anni siano stati normalmente piacevoli. Livia era ferma, maestosa e freddamente affettuosa. Si trattava di ciò che, crescendo, avevo finito con l’aspettarmi.

A differenza di quasi tutti gli uomini del suo rango, Ottaviano insistette che io venissi allevata alla maniera antica, in casa sua, affidata a Livia anziché a una nutrice. Volle che imparassi le arti casalinghe, a tessere, a cucire e a cucinare. Ma allo stesso tempo che fossi educata in modo confacente alla figlia di un Imperatore. Così, nei miei primi anni mi dedicai alla tessitura con le schiave della famiglia, ma imparai anche le lettere, il latino e il greco dallo schiavo di mio padre, Fedro. E dopo studiai la saggezza con il suo vecchio amico e tutore Atenodoro. Nonostante allora non lo sapessi, la circostanza più significativa della mia vita consisteva nel fatto che Ottaviano non aveva avuto altri figli. Era un difetto della stirpe Julia.

Anche se dovetti vederlo di rado, in quegli anni, la sua presenza dominava più di ogni altra la mia vita. Imparai la geografia dalle sue lettere, che mi venivano lette ogni giorno. Arrivavano in plichi, dovunque lui fosse costretto a trovarsi: in Gallia, Sicilia, Iberia, Dalmazia, Grecia, Asia o in Egitto.

Come ho detto, dovetti vederlo di rado. Eppure anche adesso mi sembra che fosse sempre presente. Se chiudo gli occhi quasi posso sentirmi lanciata in aria, e sentire le risate estatiche del sicuro timore di una bimba, le mani che mi afferrano nel nulla dove sono stata lanciata. Sento la voce profonda, consolante e calda. Sento le carezze sul mio capo. Ricordo quando giocavo insieme a lui con la palla e con i sassolini. E sento le mie gambe faticare su per le collinette del giardino dietro la nostra casa sul Palatino, mentre ci rechiamo fino a un punto da cui si può vedere la città distesa come un giocattolo gigantesco sotto di noi. Eppure non riesco a ricordare la sua faccia. Lui mi chiamava Roma, la sua «piccola Roma».

Il primo ricordo visivo di mio padre risale a quando avevo nove anni. Fu durante il quinto consolato, in occasione del triplice trionfo per le vittorie in Dalmazia, ad Actium e in Egitto.

Dopo di allora, non ci sono più stati festeggiamenti analoghi di imprese militari a Roma.



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